05_Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?

20 marzo 2020

Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?

Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Alle tre Gesù gridò con voce forte: Eloì, Eloì, lemà sabactàni?, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna e, postala su una canna, gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a toglierlo dalla croce». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò. (Mc 15, 33-37)

Gesù entra nella morte per essere con noi

E mentre i credenti di ogni fede si rivolgono a Dio e lo chiamano nel tempo della loro sofferenza, i cristiani vanno a Dio nel tempo della sua sofferenza.

«L’essenza del cristianesimo è la contemplazione del volto del Dio crocifisso»

Carlo Maria Martini

Contemplare come le donne al Calvario, occhi lucenti di amore e di lacrime; stare accanto alle infinite croci del mondo dove Cristo è ancora crocifisso nei suoi fratelli, nella sua carne innumerevole, dolente e santa.

Come sul Calvario «Dio non salva dalla sofferenza, ma nella sofferenza; non protegge dalla morte, ma nella morte.

Non libera dalla croce ma nella croce»

Bonhoeffer

La lettura del Vangelo della Passione è di una bellezza che mi stordisce: un Dio che mi ha lavato i piedi e non gli è bastato, che ha dato il suo corpo da mangiare e non gli è bastato; lo vedo pendere nudo e disonorato, e devo distogliere lo sguardo. Poi giro ancora la testa, torno a guardare la croce, e vedo uno a braccia spalancate che mi grida: ti amo. Proprio a me? Sanguina e grida, o forse lo sussurra, per non essere invadente: ti amo. Perché Cristo è morto in croce? Non è stato Dio il mandante di quell’omicidio. Non è stato lui che ha permesso o preteso che fosse sacrificato l’innocente al posto dei colpevoli. Placare la giustizia col sangue? Non è da Dio.

Quante volte ha gridato nei profeti: «Io non bevo il sangue degli agnelli, io non mangio la carne dei tori», «amore io voglio e non sacrificio». La giustizia di Dio non è dare a ciascuno il suo, ma dare a ciascuno se stesso, la sua vita. Ecco allora che Incarnazione e Passione si abbracciano, la stessa logica prosegue fino all’estremo. Gesù entra nella morte, come è entrato nella carne, perché nella morte entra ogni carne: per amore, per essere con noi e come noi.

E la attraversa, raccogliendoci tutti dalle lontananze più perdute, e a Pasqua ci prende dentro il vortice del suo risorgere, ci trascina con sé in alto, nella potenza della risurrezione.

Ermes Ronchi Commento al Vangelo domenicale

«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? 

Lontane dalla mia salvezza le parole del mio grido. 

Mio Dio, grido di giorno e non rispondi; 

di notte, e non c’è tregua per me» (vv. 2-3).

Dio tace, e questo silenzio lacera l’animo dell’orante, che incessantemente chiama, ma senza trovare risposta. I giorni e le notti si succedono, in una ricerca instancabile di una parola, di un aiuto che non viene; Dio sembra così distante, così dimentico, così assente. La preghiera chiede ascolto e risposta, sollecita un contatto, cerca una relazione che possa donare conforto e salvezza. Ma se Dio non risponde, il grido di aiuto si perde nel vuoto e la solitudine diventa insostenibile. Eppure, l’orante del nostro Salmo per ben tre volte, nel suo grido, chiama il Signore “mio” Dio, in un estremo atto di fiducia e di fede. Nonostante ogni apparenza, il Salmista non può credere che il legame con il Signore si sia interrotto totalmente; e mentre chiede il perché di un presunto abbandono incomprensibile, afferma che il “suo” Dio non lo può abbandonare. 

Come è noto, il grido iniziale del Salmo, «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?», è riportato dai Vangeli di Matteo e di Marco come il grido lanciato da Gesù morente sulla croce (cfr Mt 27,46; Mc 15,34). Esso esprime tutta la desolazione del Messia, Figlio di Dio, che sta affrontando il dramma della morte, una realtà totalmente contrapposta al Signore della vita. Abbandonato da quasi tutti i suoi, tradito e rinnegato da discepoli, attorniato da chi lo insulta, Gesù è sotto il peso schiacciante di una missione che deve passare per l’umiliazione e l’annichilimento.

Perciò grida al Padre, e la sua sofferenza assume le parole dolenti del Salmo. Ma il suo non è un grido disperato, come non lo era quello del Salmista, che nella sua supplica percorre un cammino tormentato sfociando però infine in una prospettiva di lode, nella fiducia della vittoria divina. E poiché nell’uso ebraico citare l’inizio di un Salmo implicava un riferimento all’intero poema, la preghiera straziante di Gesù, pur mantenendo la sua carica di indicibile sofferenza, si apre alla certezza della gloria. «Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?», dirà il Risorto ai discepoli di Emmaus (Lc 24,26). Nella sua passione, in obbedienza al Padre, il Signore Gesù attraversa l’abbandono e la morte per giungere alla vita e donarla a tutti i credenti.

A questo grido iniziale di supplica, nel nostro Salmo 22, fa seguito, in doloroso contrasto, il ricordo del passato: 

«In te confidarono i nostri padri,

confidarono e tu li liberasti;

a te gridarono e furono salvati, 

in te confidarono e non rimasero delusi» (vv. 5-6).

Quel Dio che oggi al Salmista appare così lontano, è però il Signore misericordioso che Israele ha sempre sperimentato nella sua storia. Il popolo a cui l’orante appartiene è stato oggetto dell’amore di Dio e può testimoniarne la sua fedeltà. A cominciare dai Patriarchi, e poi in Egitto e nel lungo peregrinare nel deserto, nella permanenza nella terra promessa a contatto con popolazioni aggressive e nemiche, fino al buio dell’esilio, tutta la storia biblica è stata una storia di grida di aiuto da parte del popolo e di risposte salvifiche da parte di Dio. E il Salmista fa riferimento all’incrollabile fede dei suoi padri, che “confidarono” – per tre volte questa parola viene ripetuta – senza mai rimanere delusi. Ora tuttavia, sembra che questa catena di invocazioni fiduciose e risposte divine si sia interrotta; la situazione del Salmista sembra smentire tutta la storia della salvezza, rendendo ancor più dolorosa la realtà presente.

Ma Dio non può smentirsi, ed ecco allora che la preghiera torna a descrivere la situazione penosa dell’orante, per indurre il Signore ad avere pietà e intervenire, come aveva sempre fatto in passato. Il Salmista si definisce «verme e non un uomo, rifiuto degli uomini, disprezzato dalla gente» (v. 7), viene schernito, dileggiato (cfr v. 8) e ferito proprio nella fede: «Si rivolga al Signore; lui lo liberi, lo porti in salvo, se davvero lo ama» (v. 9), dicono. Sotto i colpi beffardi dell’ironia e dello spregio, sembra quasi che il perseguitato perda i propri connotati umani, come il Servo sofferente tratteggiato nel Libro di Isaia (cfr Is 52,14; 53,2b-3). E come il giusto oppresso del Libro della Sapienza (cfr 2,12-20), come Gesù sul Calvario (cfr Mt 27,39-43), il Salmista vede messo in questione il suo rapporto con il suo Signore, nella sottolineatura crudele e sarcastica di ciò che lo sta facendo soffrire: il silenzio di Dio, la sua apparente assenza. Eppure Dio è stato presente nell’esistenza dell’orante con una vicinanza e una tenerezza incontestabili. Il Salmista lo ricorda al Signore: «Sei proprio tu che mi hai tratto dal grembo, mi hai affidato al seno di mia madre. Al mio nascere, a te fui consegnato» (vv. 10-11a). Il Signore è il Dio della vita, che fa nascere e accoglie il neonato e se ne prende cura con affetto di padre. E se prima si era fatta memoria della fedeltà di Dio nella storia del popolo, ora l’orante rievoca la propria storia personale di rapporto con il Signore, risalendo al momento particolarmente significativo dell’inizio della sua vita. E lì, nonostante la desolazione del presente, il Salmista riconosce una vicinanza e un amore divini così radicali da poter ora esclamare, in una confessione piena di fede e generatrice di speranza: «dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio» (v. 11b). 

Il lamento diventa ora supplica accorata: «Non stare lontano da me, perché l’angoscia è vicina e non c’è chi mi aiuti» (v. 12)

L’unica vicinanza che il Salmista percepisce e che lo spaventa è quella dei nemici. E’ dunque necessario che Dio si faccia vicino e soccorra, perché i nemici circondano l’orante, lo accerchiano, e sono come tori poderosi, come leoni che spalancano le fauci per ruggire e sbranare (cfr vv. 13-14). L’angoscia altera la percezione del pericolo, ingrandendolo. Gli avversari appaiono invincibili, sono diventati animali feroci e pericolosissimi, mentre il Salmista è come un piccolo verme, impotente, senza difesa alcuna. Ma queste immagini usate nel Salmo servono anche a dire che quando l’uomo diventa brutale e aggredisce il fratello, qualcosa di animalesco prende il sopravvento in lui, sembra perdere ogni sembianza umana; la violenza ha sempre in sé qualcosa di bestiale e solo l’intervento salvifico di Dio può restituire l’uomo alla sua umanità.

Ora, per il Salmista, oggetto di tanta feroce aggressione, sembra non esserci più scampo, e la morte inizia ad impossessarsi di lui: «Io sono come acqua versata, sono slogate tutte le mie ossa […] arido come un coccio è il mio vigore, la mia lingua si è incollata al palato […] si dividono le mie vesti, sulla mia tunica gettano la sorte» (vv. 15.16.19). Con immagini drammatiche, che ritroviamo nei racconti della passione di Cristo, si descrive il disfacimento del corpo del condannato, l’arsura insopportabile che tormenta il morente e che trova eco nella richiesta di Gesù «Ho sete» (cfr Gv 19,28), per giungere al gesto definitivo degli aguzzini che, come i soldati sotto la croce, si spartiscono le vesti della vittima, considerata già morta (cfr Mt 27,35; Mc 15,24; Lc 23,34; Gv 19,23-24).

Ecco allora, impellente, di nuovo la richiesta di soccorso: «Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, vieni presto in mio aiuto […] Salvami» (vv. 20.22a). È questo un grido che dischiude i cieli, perché proclama una fede, una certezza che va al di là di ogni dubbio, di ogni buio e di ogni desolazione. E il lamento si trasforma, lascia il posto alla lode nell’accoglienza della salvezza:

«Tu mi hai risposto. Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea» (vv. 22c-23).

Così, il Salmo si apre al rendimento di grazie, al grande inno finale che coinvolge tutto il popolo, i fedeli del Signore, l’assemblea liturgica, le generazioni future (cfr vv. 24-32). Il Signore è accorso in aiuto, ha salvato il povero e gli ha mostrato il suo volto di misericordia. Morte e vita si sono incrociate in un mistero inseparabile, e la vita ha trionfato, il Dio della salvezza si è mostrato Signore incontrastato, che tutti i confini della terra celebreranno e davanti al quale tutte le famiglie dei popoli si prostreranno.

È la vittoria della fede, che può trasformare la morte in dono della vita, l’abisso del dolore in fonte di speranza.

Benedetto XVI Udienza generale Mercoledì 14 settembre 2011

 

La croce non è un palo dei romani, ma il legno su cui Dio ha scritto il suo vangelo.

Alda Merini

 

Dopo aver pronunziato il suo «testamento spirituale» e aver consegnato la Madre al discepolo amato, Gesù è ora totalmente spoglio di ogni divina e umana ricchezza; il Figlio di Dio, ridotto all’estrema povertà, grida tutta la sua desolazione e l’angoscia di uomo che sperimenta la dolorosa assenza di ogni sostegno vissuta come assenza di Dio stesso, come stato di abbandono totale: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». 

Il grido lacerante dell’Uomo-Dio attraversa le nostre tenebre; è l’ora culminante dell’agonia in cui il Cristo assume veramente tutta la desolazione, l’angoscia, la paura, il terrore della morte che abitano nel cuore dell’uomo. Con forti grida e lacrime – dice la Lettera agli Ebrei (cfr. 5,7) – Gesù pregò colui che poteva liberarlo da morte. 

Il pianto di tutto il dolore delle generazioni umane passa attraverso il cuore di Cristo, sale dalla terra, penetra nei cieli e ferisce il cuore del Padre: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». «Dio non può averlo abbandonato – spiega sant’Agostino – perché lui stesso è Dio». Eppure il Cristo prova questo abbandono, vive questa estrema desolazione, cade in questo abisso dove le tenebre sono assolute. 

È un mistero. Al grido straziante del Figlio, dell’uomo, Dio non si fa sentire, non interviene. E tuttavia non è un Dio assente; è un Padre che, per folle amore, immola il Figlio della sua compiacenza per i « figli dell’ira»; nel Figlio del suo amore egli immola il proprio cuore, che, tutto donato, diventa puro silenzio. Ma in quel silenzio c’è la più alta risposta, la più sofferta «com-passione». È un’ora buia; è l’ora più buia della storia, ma è anche il grembo del nuovo giorno, per la nascita di un mondo nuovo, per il sorgere di una nuova luce. 

Il lamento di Cristo, infatti, è l’inizio del Salmo 22, che, apertosi con tale lancinante grido di angoscia, si conclude poi – come la stessa Passione – con una consegna fiduciosa, con una parola piena di speranza: «E io vivrò per lui (per Dio), lo servirà la mia discendenza» (vv. 30-31). 

Proprio quest’Uomo che muore avrà una lunga discendenza. L’ora in cui Colui che è la Vita si consegna alla morte è dunque l’ora della massima fecondità: generazione a prezzo della morte. 

Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio si fece buio sulla terra… 

Questo è uno spazio di tempo nella giornata, in ogni giornata, che noi dovremmo sempre trascorrere sotto la croce, poiché quell’ora non si è chiusa, ma perdura e abbraccia tutta la nostra esistenza. 

Noi siamo ancora contemporanei all’agonia di Gesù, sempre presenti all’ora della sua suprema offerta. 

Anna Maria Canopi Le sette parole di Gesù sulla croce

 

Non è l’ultima parola… 

“C’è una frase immensa, che riassume la tragedia del creato alla morte di Cristo: «Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio, si fece buio su tutta la terra». Forse è la frase più scura di tutta la Bibbia. Per me è una delle più luminose. Proprio per quelle riduzioni di orario che stringono, come due paletti invalicabili, il tempo in cui è concesso al buio di infierire sulla terra. 

Ecco le sponde che delimitano il fiume delle lacrime umane. Ecco le saracinesche che comprimono in spazi circoscritti tutti i rantoli della terra. Ecco le barriere entro cui si consumano tutte le agonie dei figli dell’uomo”. 

“Collocazione provvisoria”. Penso che non ci sia formula migliore per definire la croce. La mia, la tua croce, non solo quella di Cristo. Coraggio, allora: la tua croce, anche se durasse tutta la vita, è sempre “collocazione provvisoria”. 

Il Calvario, dove essa è piantata, non è zona residenziale. E il terreno di questa collina, dove si consuma la tua sofferenza, non si venderà mai come suolo edificatorio. 

Coraggio, comunque! Noi credenti, nonostante tutto, possiamo contare sulla Pasqua e sulla Domenica, che è l’edizione settimanale della Pasqua. Essa è il giorno dei macigni che rotolano via dall’imboccatura dei sepolcri. E’ l’intreccio di annunci di liberazione, portati da donne ansimanti dopo lunghe corse sull’erba. E’ l’incontro di compagni trafelati sulla strada polverosa. 

E’ il tripudio di una notizia che si temeva non potesse giungere più e che invece corre di bocca in bocca ricreando rapporti nuovi tra vecchi amici. E’ la gioia delle apparizioni del Risorto che scatena abbracci nel cenacolo. E’ la festa degli ex delusi della vita, nel cui cuore all’improvviso dilaga la speranza. 

Riconciliamoci con la gioia. La Pasqua sconfigga il nostro peccato, frantumi le nostre paure e ci faccia vedere le tristezze, le malattie, i soprusi, e perfino la morte, dal versante giusto: quello del «terzo giorno». 

Da lì le sofferenze del mondo non saranno più i rantoli dell’agonia, ma i travagli del parto. E le stigmate lasciate dai chiodi nelle nostre mani saranno le feritoie attraverso le quali scorgeremo fin d’ora le luci di un mondo nuovo”.

Don Tonino Bello

 

Fiducia nella storia

Il primo fondamento della nostra fiducia nella storia è la fede nella Provvidenza di Dio e nel suo amore.

La sua mano onnipotente e misericordiosa sostiene, invisibile, lo svolgersi del tempo dal primo giorno della sua creazione.

Anche quando il male si diffonde e sembra prevalere, non è lecito disperare.

Se la storia ci appare nel suo aspetto sinistro come luogo di sofferenza, di disgrazie, di sconfitte e di morte, ricordiamoci che la Scrittura ci assicura ripetutamente che verrà il giorno in cui Dio asciugherà le lacrime su ogni volto.

Giovanni Paolo II

 

Non ci è domandato di essere forti nei momenti di sofferenza.

Non si chiede al grano, quando lo si macina, di essere forte, ma di lasciare che la macina del mulino ne faccia della farina.

Madeleine Delbrel Indivisibile amore

UNA TESTIMONIANZA

Sono S., ho 27 anni. Ho provato a riassumere tutto quello che mi sta succedendo in questo particolare momento, sperando non tanto di raccontare qualcosa di me, quanto di testimoniare l’azione di Dio nella mia vita.

 

11 marzo 2019

Come avviene circa da un anno e mezzo, incontro il don per proseguire il mio cammino di fede personale.

Il 2018 è stato un anno parecchio difficile, ma sento di non essere stata ferma e di aver fatto qualche passo avanti nella mia vita. 

Ricordo un giorno di aver pensato: “Eccomi Signore, io ci sono, fai di me ciò vuoi!”, ma forse ero come il giovane ricco che non sa cosa significa veramente seguire Gesù.

Come “compito a casa” il don mi lascia questo brano con la consegna di sottolineare ciò che più mi spaventa. Lo faccio, senza capire cosa c’entri tutto ciò con me. 

Il timore di Dio nella prova

(Siracide 2,1-11) 

Figlio, se ti presenti per servire il Signore,

preparati alla tentazione.

Abbi un cuore retto e sii costante,

non ti smarrire

nel tempo della seduzione.

Sta unito a lui senza separartene,

perché tu sia esaltato 

nei tuoi ultimi giorni.

Accetta quanto ti capita,

sii paziente nelle vicende dolorose,

perché con il fuoco si prova l’oro,

e gli uomini ben accetti

nel crogiuolo del dolore.

Nelle malattie e nella povertà

Confida il lui.

Affidati a lui ed egli ti aiuterà;

segui la via retta e spera in lui.

quanti temete il Signore,

aspettate la sua misericordia;

non deviate per non cadere.

Voi che temete il Signore, confidate in lui;

il vostro salario non verrà meno.

Voi che temete il Signore,

sperate i suoi benefici,

la felicità eterna e la sua misericordia,

poiché la sua ricompensa 

è un dono eterno con gioia.

Considerate le generazioni passate 

E riflettete:

chi ha confidato nel Signore ed è rimasto deluso?

O chi ha perseverato nel suo timore 

E fu abbandonato? 

O chi lo ha invocato

Ed è stato da lui trascurato?

Perché il Signore è clemente

e misericordioso, rimette i peccati e salva

al momento della tribolazione.

 

18 maggio 2019

“Le abbiamo prenotato una TAC e una visita oncologica” … “è un tumore”.

Fermati. La tua vita è ribaltata.

Tutto intorno a te diventa solo un rumore di sottofondo, il mondo si appanna e rimani solo tu, con questa cosa che non sai cosa sia, da dove venga, né dove porti. 

Signore, cosa mi stai chiedendo?

 

18 luglio 2019

La diagnosi è arrivata, ma non ho idea di cosa questo significhi.

Incontro il parroco per raccontargli cosa mi sta succedendo e in confidenza mi dice: “arriverà un momento in cui dovrai scendere nel profondo della tua sofferenza e lì sarai sola”.

Sola? Non mi sento sola. Ho gli amici, la famiglia, la mia fede…come faccio a sentirmi sola? 

 

31 luglio 2019

A breve inizierò la chemioterapia. Decido di fare l’unzione degli infermi.

Il don mi spiega che, contrariamente a quanto si pensi, non è un sacramento esclusivo per coloro che sono in fin di vita, ma lo può richiedere chiunque si trovi in una situazione di pericolo, come una grave malattia o un’operazione rischiosa. È come chiedere allo Spirito Santo un’attenzione in più, una forza maggiore per affrontare ciò che ti aspetta.

Solo successivamente ho capito quale fosse il dono che lo Spirito mi ha concesso.

 

26 novembre 2019

È passato un po’ di tempo, sono successe molte cose. Ho dovuto cambiare trattamento, perché la prima chemioterapia non è stata sufficientemente efficace.

Anche il secondo trattamento, molto più pesante, non sta funzionando. Inizialmente i dottori mi hanno rassicurata dicendomi che, per la mia tipologia di tumore, ci sono alte probabilità di completa guarigione.

Le cure, però, non stanno andando come dovrebbero e ci stiamo addentrando sempre di più nell’oscurità dell’incertezza. 

E se non guarissi? E se morissi? È questo che mi stai chiedendo Signore?

O mi stai mettendo alla prova come Abramo con Isacco? Eppure, io sento che ci sono ancora tante cose che devo fare per Te. Com’è possibile che tu mi chieda questo?

Così è arrivato il dono dello Spirito Santo: il timore di Dio

Guarda caso, era esattamente il titolo del brano che il don mi aveva dato di compito e lì ho capito cos’è per me questo dono.

Ho capito che non c’è nulla di certo, niente a cui appigliarmi, nessuno che può rassicurarmi sul quello che succederà, perché nessuno può vedere il futuro. In questo senso sono sola.

Ho solo una certezza.

DIO MI AMA

Che mi chieda di lottare o di morire, lo fa per me. Mi ama. Non mi serve sapere altro. Quello che sarà, io lo accetterò. E come fece Gesù nel Getsemani ho detto:

“Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà”.

Qui è arrivata la tentazione. La stessa notte in cui ho raggiunto questa certezza, ho fatto un sogno.

Il don era alle mie spalle. Mi sussurrava nell’orecchio: “ti voglio bene, ti voglio bene”.

Davanti a me compare una sorta di bolla luminosa, bellissima! Mai visto niente di simile!

La sua luce si propaga e compare Maria, la Madonna. Mentre ero travolta da quest’estasi, la voce del don cambia.

Diventa mostruosa, terrificante e comincia a dire cose che non capisco, ma percepisco come orribili.

Lo sento, il maligno è qui. Così inizio a pregare. Prego la Madonna.

Mi attacco a lei con tutte le mie forze.

Mi sveglio.

 

12 febbraio 2020

Ho finito la chemioterapia e sono di nuovo nell’incertezza. Non so ancora gli esiti di questo ultimo trattamento, ma so che dovrò fare il trapianto autologo di midollo, una procedura abbastanza impegnativa, per cui verrò ricoverata per molto in ospedale e sarò in completo isolamento. Credo proprio che sarà questa la prova più dura.

Da quel 26 novembre, però, sono successe tante cose che mi hanno fatto sentire che la malattia e tutta la sofferenza che ne deriva non sono state inutili. È come se mi avessero spinta a cambiare, a rivedere alcune cose della mia vita, a toccare delle ferite ancora scoperte, ma che andavano pulite per potersi rimarginare, per poterci andare oltre. 

Per questo condivido in pieno le parole di Gianluca Vialli, ex calciatore colpito da un tumore al pancreas:

“non è vero che il cancro è il grande nemico da sconfiggere.

Non è una lotta per uccidere lui, ma è una sfida per cambiare sé stessi…”.

Chi non cambia muore. 

Muore chi non vuole cambiare perché ha paura di vivere. 

PREGHIAMO INSIEME

Noi ti adoriamo

Noi ti adoriamo, Cristo Gesù.

Ci mettiamo in ginocchio 

e non troviamo parole sufficienti 

per esprimere quel che proviamo

davanti alla tua morte in croce.

Noi desideriamo, o Cristo, 

gridare oggi verso la tua misericordia 

più grande di ogni forza e potenza 

alla quale possa appoggiarsi l’uomo. 

La potenza del tuo amore 

si dimostri ancora una volta più grande 

del male che ci minaccia. 

Si dimostri più grande dei molteplici peccati 

che si arrogano in forma sempre più assoluta 

la cittadinanza nella vita degli uomini.

Giovanni Paolo II