04_Perchè ti nascondi?

28 febbraio 2020

Perchè ti nascondi?

Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture. Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l’uomo con sua moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino.Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?».

Rispose: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto».Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?».

Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato».

Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato».

Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché tu hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». (Gn 3, 7-14)

Ralbag: La conversazione di Dio ci insegna che prima che un giudice condanni qualcuno deve innanzitutto interrogare personalmente il colpevole per accertarsi se possiede degli argomenti in sua difesa. Dio, dunque, sebbene fosse pienamente a conoscenza dell’accaduto, non li punì prima di averli ascoltati, dando loro così la possibilità di difendersi.

Rashi: Sapeva dov’era, ma lo chiamò per cominciare con lui una conversazione, così che Adamo non dovesse rispondere all’improvviso e pieno di confusione, come sarebbe stato se avesse decretato la punizione tutta in solo volta.

Ralash: Aiekhah – dove sei, non è una semplice domanda, ma esprime la sorpresa di trovare Adamo là dove non dovrebbe trovarsi.

Qol HaTorah: la parola Aiekhah – dove sei? che ha anche il significato Ahimè! Come mai! esprime il sospiro e il lutto. Il fatto che Dio sia stato costretto a chiedere all’uomo “Dove sei? Perché ti nascondi? Che hai commesso?” Implica già un motivo di grande afflizione: “Come mai non sei più lo stesso di prima?” . Sebbene Dio non ignorava dove Adamo si trovasse, la sua domanda non era puramente retorica. Si tratta della domanda eterna, posta da Dio ad ogni uomo: “Dove sei tu oggi nella tua vita?”.

Hertz: “Dove sei?” è il grido che risuona dopo ogni peccato, nelle orecchie dell’uomo che cerca di ingannare se stesso e gli altri a proposito del suo peccato.

Yedi: Ogni peccatore si nasconde da Dio. Anche se non è cosciente di nascondersi fisicamente, si nasconde dietro la siepe dell’automistificazione e dell’autoinganno. Ogni uomo ha questa tendenza. Perciò la Parola di Dio, attraverso questo episodio, ci dà un rimedio. Dio chiama: “Dove sei?”, il che significa: “Apriti a me, abbatti le barricate di autogiustificazione e di inganno di te stesso, dietro le quali cerchi di nasconderti da me”.

Lifschitz, L’inizio della storia. Il peccato orginale, prefazione di I. De la Potterie, Roma 1993.

“Adamo, dove sei?” – La prima chiamata di misericordia

Chiamare qualcuno con il proprio nome è un evidente segno d’amore. La chiamata è una parola, il cui contenuto è destinato in modo particolare ad una persona che si sceglie e con cui si instaura una relazione personale ed unica, prima di tutto perché la si ama e la si stima, e in secondo luogo, perché si spera che accetterà la chiamata che le si vuole affidare.

Si tratta qui della prima chiamata di misericordia che troviamo nella Scrittura. E non a caso.

Si potrebbe pensare che il peccato abbia allontanato l’uomo da Dio. Questo è vero per l’uomo e le sue relazioni con Dio.

Paura, nascondimento e accusa sono segni evidenti. Non è così per Dio. Paradossalmente il peccato arricchisce l’amore che Dio ha per l’uomo di una connotazione nuova che prima non aveva: la tenerezza della misericordia. Infatti, è solo dopo il peccato che avviene la chiamata personale: “Adamo, dove sei?” […].

Quello che invece impedisce questo rapporto con Dio non è il peccato di per sé, ma il ‘superpeccato’. Cioè il sentirsi giusto e buono, o senz’altro migliore degli altri, ‘perché io non ho mai fatto male a nessuno’. 

 

Dio ci attende, aspetta che gli concediamo soltanto quel minimo spiraglio per poter agire in noi, col suo perdono, con la sua grazia. Solo chi è stato toccato, accarezzato dalla tenerezza della misericordia, conosce veramente il Signore.

Perciò ho ripetuto spesso che il luogo in cui avviene rincontro con la misericordia di Gesù è il mio peccato. Quando si sperimenta l’abbraccio di misericordia, quando ci si lascia abbracciare, quando ci si commuove: allora la vita può cambiare, perché cerchiamo di rispondere a questo dono immenso e imprevisto, che agli occhi umani può apparire perfino “ingiusto” per quanto è sovrabbondante.

Siamo di fronte a un Dio che conosce i nostri peccati, i nostri tradimenti, i nostri rinnegamenti, la nostra miseria. Eppure è lì che ci attende, per donarsi totalmente a noi, per risollevarci.

Dal libro “Il nome di Dio è Misericordia” di Papa Francesco (pagg. 49-51)

 

Dio non si vergogna della bassezza dell’uomo, vi entra dentro (…)

Dio è vicino alla bassezza, ama ciò che è perduto, ciò che non è considerato, l’insignificante, ciò che è emarginato, debole e affranto; dove gli uomini dicono “perduto”, lì egli dice “salvato”; dove gli uomini dicono “no”, lì egli dice “sì”.

Dove gli uomini distolgono con indifferenza o altezzosamente il loro sguardo, lì egli posa il suo sguardo pieno di amore ardente e incomparabile. Dove gli uomini dicono “spregevole”, lì Dio esclama “beato”. 

Dove nella nostra vita siamo finiti in una situazione in cui possiamo solo vergognarci davanti a noi stessi e davanti a Dio, dove pensiamo che anche Dio dovrebbe adesso vergognarsi di noi, dove ci sentiamo lontani da Dio come mai nella vita, proprio lì Dio ci è vicino come mai lo era stato prima. Lì egli vuole irrompere nella nostra vita, lì ci fa sentire il suo approssimarsi, affinché comprendiamo il miracolo del suo amore, della sua vicinanza e della sua grazia.

Dietrich Bonhoeffer

 

Pertanto, la Chiesa professa e proclama la conversione. La conversione a Dio consiste sempre nello scoprire la sua misericordia, cioè quell’amore che è paziente e benigno a misura del Creatore e Padre: l’amore, a cui «Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo», è fedele fino alle estreme conseguenze nella storia dell’alleanza con l’uomo: fino alla croce, alla morte e risurrezione del Figlio. La conversione a Dio è sempre frutto del «ritrovamento» di questo Padre che è ricco di misericordia. L’autentica conoscenza del Dio della misericordia, dell’amore benigno è una costante ed inesauribile fonte di conversione, non soltanto come momentaneo atto interiore, ma anche come stabile disposizione, come stato d’animo.

Coloro che in tal modo arrivano a conoscere Dio, che in tal modo lo «vedono», non possono vivere altrimenti che convertendosi continuamente a lui. Vivono, dunque, in stato di conversione; ed è questo stato che traccia la più profonda componente del pellegrinaggio di ogni uomo sulla terra in stato di viandante.

È evidente che la Chiesa professa la misericordia di Dio, rivelata in Cristo crocifisso e risorto, non soltanto con la parola del suo insegnamento, ma soprattutto con la più profonda pulsazione della vita di tutto il Popolo di Dio. Mediante questa testimonianza di vita la Chiesa compie la missione propria del Popolo di Dio, missione che è partecipazione e, in un certo senso, continuazione di quella messianica di Cristo stesso.

GIOVANNI PAOLO II Dives in Misericordia

 

“Non  è il  peccatore che  ritorna a Dio  per domandargli perdono,

ma  è Dio stesso che corre dietro  al  peccatore  e lo fa tornare a Lui…

Questo buon  Salvatore è così colmo d’amore che ci cerca dappertutto. 

 Il  buon Dio  sa tutto.

Prima ancora  che voi vi confessiate,  sa già che peccherete ancora  e tuttavia vi perdona.

Come è grande l’amore del nostro  Dio che si spinge

fino a dimenticare volontariamente  l’avvenire, pur di perdonarci!”. 

Santo curato D’Ars

 

Racconto rabbinico 

Ognuno  è legato  a Dio da una  corda. Quando commetti  una colpa, la corda si  spezza. Ma appena ti penti,  Dio fa subito un nodo e la corda  si accorcia: ti avvicini un poco di  più a lui. Così di colpa in colpa, di  pentimento in pentimento, di nodo in nodo,  ci avviciniamo sempre di più, e si arriva al  cuore di Dio! 

Nella mia comunità, Signore, aiutami ad amare,
ad essere come il filo di un vestito.
Esso tiene insieme i vari pezzi
e nessuno lo vede se non il sarto che ce l’ha messo.
Tu Signore mio sarto, sarto della comunità,
rendimi capace di essere nel mondo
servendo con umiltà,
perché se il filo si vede tutto è riuscito male.
Rendimi amore in questa tua Chiesa,
perché è l’amore che tiene insieme i vari pezzi.

Madeleine Delbrel